L'intervista a Francesco Iarrera, nutrizionista ed esponente di AIDAP, tra i primi professionisti del settore in Italia a porre al centro della questione obesità l'ambiente sociale e la discriminazione
CCD - La discriminazione entra di prepotenza nel dibattito sull'obesità, grazie in particolare al
dott. Francesco Iarrera, nutrizionista del Centro di Riabilitazione Nutrizionale di Messina e referente regionale di
AIDAP, l'Associazione Italiana Disturbi dell'Alimentazione e del Peso. Iarrera in queste settimane
ha letteralmente rotto il ghiaccio grazie ad un
brillante intervento sulla discriminazione apparso sulla newsletter di AIDAP,
Emozioni e Cibo. Com'è ovvio gli ho immediatamente chiesto di parlarne per una intervista e ne è uscita una lunga e interessante chiacchierata a 360 gradi su obesità, disturbi alimentari, odio sociale, reality show e nutrizione. Ho cercato di sintetizzarla qui sotto.
Discriminazione e disturbi alimentari
Perché nel tuo intervento parli di "nuovi pregiudizi" anticicci, a cosa fai riferimento?
Iarrera: Quando parliamo di obesità, quando parliamo di obesi, ci troviamo di fronte ad una sorta di intolleranza razziale, una forma molto pericolosa di intolleranza. Non ci dobbiamo stupire: ogni qual volta come società e individui ci troviamo dinanzi a qualcosa che non conosciamo tendiamo a starne alla larga, e finiamo per considerarlo il male supremo.
Qui da noi questo è quello che accade. Oggi succede proprio questo con l'obesità.
Sono i pregiudizi che circondano l'obesità, e che si traducono nell'esclusione sociale degli obesi, parliamo di quelli?
Iarrera: Si attribuisce di tutto e di più agli obesi. Si dice che sono pigri, ad esempio, ma si può essere pigri o meno anche da magri. Si dice che gli obesi sono privi di volontà o non sanno mantenere un impegno. Sciocchezze, ovviamente, che sono però un problema nel momento in cui diventano il modo o la scusa per discriminare, allontanare, emarginare.
In che senso?
Iarrera: Questo è un problema culturale, nasce dalla non completa conoscenza dei meccanismi biologici e psicologici legati al sovrappeso. Si ignorano le cause scientificamente dimostrate, si attribuisce il sovrappeso ad una
insufficienza dell'individuo.
E non è così? C'è chi attacca gli obesi perché - dice - lo sono per scelta.
Iarrera: Il problema è proprio questo. Come si può parlare di sovrappeso continuando ad ignorare che se il 25 per cento della questione è ascrivibile ad una responsabilità personale, il 75 per cento ha invece cause ambientali?
Come uomo ciccione sono cresciuto circondato da chi non solo mi diceva che vivevo in un corpo sbagliato ma anche che era tutta colpa mia. E se non me lo diceva mi faceva capire come la pensava. Un'esperienza, questa sì, epidemica, vista la quantità di cicci e cicce che l'hanno sperimentata e la sperimentano. Ora mi vieni a dire che non è così?
Iarrera: Le persone obese si trovano in una difficoltà biologica. Vivono una condizione che conoscono meglio di tutti, non hanno certo bisogno che siamo noi ad andarglielo a dire. Nel momento in cui la persona si sente colpevolizzata rispetto al proprio sovrappeso tende a fuggire. Paradossalmente l'accusa secondo cui l'obesità viene scelta non solo non aiuta a risolvere il problema ma, anzi, lo aggrava.
Sì, come sottolinei la ricerca va tutta in questa direzione, anche se viene ancora sostanzialmente ignorata, si fatica a trasformare questo concetto in cultura. Dal mio punto di vista posso dire che da adulto ho imparato, diciamo così, a difendermi. Certo, se ricordo quando ero piccolo...
Iarrera: Per i bambini è naturalmente molto peggio. Nel bambino la questione è potenzialmente ancor più grave. Perché se gli va bene non affronterà proprio il problema, se gli va male finirà per sviluppare un disturbo dell'alimentazione.
Quindi vedi una correlazione tra un clima sociale ostile e lo sviluppo di disordini alimentari?
Iarrera: Anoressia, bulimia, un approccio disturbato al cibo. Tutto questo arriva dall'ambiente, ancor più al bambino la cui identità ancora non è formata, la cui autostima è ancora in fase di evoluzione.
Mi puoi fare qualche esempio?
Iarrera: Nella nostra pratica clinica incontriamo molti bambini in cui rileviamo il ruolo dell'emarginazione, la percezione dell'esclusione è forte e li segna. Basti pensare che i bambini normopeso tendono a giocare meno con i bambini sovrappeso.
L'importanza dell'ambiente
A questo proposito ci sono ricerche, correggimi se sbaglio, secondo cui è deleterio far mescolare i bambini normoforma con quelli ciccioni perché tenderebbero a diventare ciccioni... Che ne pensi? A me sembra orrorifico il solo pensiero, ma io come ti ho detto lavoro su ciò che conosco, ossia la comunicazione sociale. In questo caso l'esclusione a causa della forma mi fa venire i capelli dritti.
Iarrera: La verità è che l'interazione sociale va in entrambe le direzioni. Se è vero che una persona magra che si circonda di persone sovrappeso rischia di sviluppare del sovrappeso, è anche vero il contrario.
Allora possiamo dire che ci condizioniamo a vicenda un po' in tutte le cose e che questo fa parte dell'interagire, che a sua volta è condizione essenziale di vita...
Iarrera: Ma il punto chiave, il vero nodo, è ancora una volta un altro, ed è l'ambiente.
Al contrario di altri medici, attribuisci moltissima importanza all'ambiente. Ne hai scritto e me ne hai parlato anche ora come di un elemento determinante. Quando parli di ambiente cosa intendi?
Iarrera: Se penso ai bambini, alle famiglie, ai compagni di giochi, ma anche - con gli adulti - ai colleghi e agli amici. A come gli uni si comportano con gli altri, come ci si relaziona, penso ai luoghi comuni, alla frequente ignoranza della scienza...
Io da esperto di comunicazione tendo a pensare molto all'ambiente mediatico, a quanto influiscano i media, come la televisione. Mi chiedo se possiamo ridere su fenomeni come quelli dei reality show antiobesi o se invece dovremmo investigarli seriamente
Iarrera: Non ci possiamo ridere sopra. L'ambiente mediatico di questo tipo è di una gravità assoluta. Se ci ragioni, è una esaltazione dei concetti di cui abbiamo parlato, dell'ambiente ostile, con l'aggiunta di una diseducazione molto grave.
Che intendi?
Iarrera: L'esempio più ovvio è proprio quello della forma. Si continua a enfatizzare il fattore di successo della magrezza, come se fosse la via al successo, anzi l'unica possibilità di successo personale, e questo naturalmente è problematico.
A questo si aggiunge l'idea della possibilità di perdita di peso con sistemi che sono al limite del realizzabile.
In che senso?
Iarrera: Pensiamo proprio ai reality show di cui parlavi. Non è ovviamente in alcun modo realistico che una persona non so vada in una clinica come quella del reality show dove un esercito di terapisti lo/la seguono giorno per giorno magari per un anno e mezzo. Ma il messaggio non è questo, il messaggio fa sì che chi segue quelle trasmissioni finisca per pensare di poter tradurre quel dimagrimento in una realtà anche per sé. La verità è che non si vive la vita con un tutor o seguiti da un pool di specialisti in una clinica.
Come esperto di comunicazione mi sento solo di aggiungere che questo genere di show mi sembrano deleteri non solo per il pubblico ciccione, che viene istigato a tentare di dimagrire in modi suicidi. Ma anche per quello normoforma: in questi show trovano conferma una quantità di luoghi comuni, pregiudizi, ossessioni che vengono ripetuti sotto varie forme e continuamente, dipinti sia negli atteggiamenti dei conduttori che in quelli a cui sono spinti i partecipanti.
Tra questi pregiudizi, evidentemente, c'è anche quello di chi ritiene fondamentalmente giusto che il ciccio o la ciccia si sentano abitanti di un corpo sbagliato. Molti ritengono che questo sia utile, addirittura che li spinga a dimagire, tanto da sentirsi legittimati a dire all'obeso quello che deve fare con il proprio corpo. E si arrabbiano persino quando qualcuno dice loro che si comportano da bulli. Che ne pensi?
Iarrera: Questo viene fuori di continuo. E' come se qualcuno potesse sapere meglio della persona sovrappeso che essere sovrappeso è un problema. Se io ho un peso di 150 chili saprò da solo che faccio fatica a salire le scale. Non ha senso fargli pesare una cosa che lui sa perfettamemte.
E' il modello del senso di colpa che è fallimentare e che incredibilmente ancora oggi viene utilizzato. Il sovrappeso di fatto è aggravato da questo genere di approccio che, come tutti quelli di questo tipo, non sono funzionali.
Parliamoci chiaro: ma se io ho malditesta siamo sicuri che debba esserci qualcuno che mi spiega che ho il malditesta? E magari insultiamo quella persona?
Il caos ascientifico, il fascino dei "maghi"
La mia sensazione è che viviamo in un momento molto caotico per tutto quello che riguarda l'alimentazione, le diversità, una cultura sofferente. Non percepiamo il valore dell'individuo. Anche quando si parla di nutrizione mi pare che vi sia molta confusione e questo anche determina comportamenti discriminanti. Come leggi la situazione attuale?
Iarrera: In cinquant'anni anni siamo passati dallo spingere un carretto ad andare in aereo, oggi usiamo i cibi precotti che acquistiamo al supermercato e non quelli che coltiviamo nel nostro orto. E' cambiato tutto l'ambiente.
Pensiamo alla dieta mediterranea. Quando si parla di questa dieta in realtà si dovrebbe specificare che si parla di uno stile mediterraneo vecchio di cinquant'anni. Quando l'uomo si alzava la mattina alle 5 per andare a lavorare nei campi. Lo stile di vita oggi è cambiato completamente.
Il punto è che non siamo geneticamente pronti per vivere in questo ambiente. L'ingrassamento è una logica conseguenza. L'uomo fino a non più di cento anni fa era stato costruito per accumulare risorse energetiche che gli consentissero di resistere alle carestie. I cambiamenti dal punto di vista genetico non sono affatto affrontabili facilmente.
Mi chiedo se non possa venirci un aiuto dalla cultura. Come mi hai detto negli ultimi decenni è cambiato tutto. Se non ce la facciamo sotto il profilo genetico forse potremmo lavorare sotto il piano culturale. Penso a chi inizia, forse siamo solo agli inizi, a riflettere in modo nuovo sul cibo. Con tutti i suoi limiti, non so, penso al vegeterianesimo, non è un indice di una riflessione nuova sull'alimentazione? C'è da sperare che da queste riflessioni emerga un approccio più evoluto?
Iarrera: Certo, un aspetto importante è quello culturale, una evoluzione in questo quadro potrebbe cambiare qualcosa e forse qualcosa sta cambiando. Ma la domanda rimane: stiamo prendendo la giusta direzione? Io non lo so. La ricerca scientifica in questo senso non è univoca, ci sono nodi controversi sulla riduzione di certi alimenti a favore di altri, ci sono pazienti che sviluppano disturbi in relazione all'alimentazione "politically correct". In una evoluzione del genere, diciamo, c'è una sottile linea di confine tra miglioramento e peggioramento.
Mi sembra che giriamo nel caos. A volte la sensazione da questa parte del tavolo è che le ricette per star bene o addirittura per dimagrire cambino diametralmente a seconda del medico con cui parli. Conosco persone che seguono diete che hanno letto sui libri, altre stabilite da nutrizionisti, altre ancora quelle di certi medici di famiglia che lavorano fuori protocollo. Se poi ci parli, scopri che le indicazioni cliniche delle une e delle altre fanno a botte, sono quasi in opposizione. Siamo nel caos, insomma.
Iarrera: Credo che il problema nasca dalla difficoltà di far emergere l'approccio scientifico. Alcuni terapeuti in ambito nutrizionale sembrano a volte trascurarlo, finiscono per cercare la genialità in un approccio che se basato sulla scienza medica non dovrebbe avere nulla di geniale.
I venditori di elisir in Italia hanno sempre avuto vita facile...
Iarrera: Io credo che un medico, un nutrizionista, non debba inventarsi nulla, deve solo applicare quello che la ricerca scientifica ha portato in superficie.
Mettendoti nei panni di un paziente, di qualcuno che ha davvero dei problemi di salute legati alla nutrizione... Come se ne esce?
Iarrera: Bisogna leggere. Leggere tanto, studiare, capire. E' complicato, mi rendo conto. Per esempio noi qui al nostro centro applichiamo la terapia comportamentale per le persone sovrappeso e i disturbi dell'alimentazione. Parliamo dell'applicazione del massimo dell'evidenza scientifica. Dovrebbe quindi essere questo lo standard dell'approccio all'intera questione. Ma - sorpresa - gli specialisti che la applicano sono pochi.
Come formare gli specialisti? Come ri-disegnare l'ambiente specialistico?
Iarrera: Noi proponiamo dei corsi di formazione su queste terapie, ma posso dirti che ai nostri corsi troviamo meno partecipanti di quanti si iscrivono, ad esempio, per studiare la dieta chetogenica (una dieta che va molto di moda, ndr.). Se vai però a leggere la ricerca, a studiare, scopri che molti studi non convalidano quel tipo di dieta. Siamo quindi di fronte ad un messaggio sbagliato.
Ho il timore che intervengano logiche di business...
Iarrera: Certo. Qui c'è un business che va ad invadere il campo scientifico, l'approccio miracolistico fa guadagnare molto di più. Non è la prima volta. E' successo anche con le intolleranze alimentari. Nel momento in cui sono emerse le evidenze scientifiche sulla inattendibilità di queste analisi un medico serio non può più proporle. Come AIDAP abbiamo un codice deontologico molto chiaro in questo senso. Ma penso anche al sondino nasogastrico, col quale qualcuno si è arricchito molto.
Il punto è che usare tecniche errate produce un doppio rischio, quello legato alla salute e quello della depressione dinanzi al fallimento.
Quando penso alla "lentezza culturale" penso anche ai grandi disagi che gli obesi, in particolare i grandi obesi, soffrono nel contatto con le strutture pubbliche, di trasporto o sanitarie. Che ne pensi?
Iarrera: Credo che questo sia legato ad una scarsa reattività all'evoluzione delle cose. Il mondo è cambiato rapidamente, e c'è una difficoltà, una lentezza nel trovare soluzioni a problemi vecchi di cent'anni, figuriamoci per quelli vecchi di vent'anni. Forse è un po' troppo ambizioso sperare che le strutture si adeguino rapidamente ad una condizione reale e molto nuova.
Amare se stessi e Health At Every Size
L'approccio di questo blog come sai è legato ad HAES, un approccio che partendo dall'accettazione di sé propone un percorso di salute legato alla gioia del ritrovare il senso del movimento fisico e di una nutrizione sana. Il primo passo per riguadagnare salute è accettare quello che siamo. Che ne pensi?
Iarrera: Il discorso è veramente complesso. Il sovrappeso oggi ha delle influenze a diversi livelli, di relazioni sociali, reazioni emotive, di autostima, aspetti che vengono influenzati negativamente dal sovrappeso. Non possiamo dimenticare che è un problema di salute, dovrei puntare a star bene e non a dimagrire, certo, ma non ho idea di cosa si possa fare per questo.
Non pensi sia possibile?
Iarrera: Intendo dire che il nostro percorso parte dal discorso dell'accettazione corporea, in modo che il paziente impari che può vivere dignitosamente con i propri chili di troppo. Il problema è lo scopo che spinge il paziente da noi.
Che intendi?
Iarrera: Non sono molti quelli che mettono al centro la salute. Molte persone si avvicinano ad un protocollo di terapia come il nostro perché vogliono perdere peso con obiettivi primari dichiarati, ad esempio per trovare fidanzati o fidanzate, per riuscire meglio nel proprio lavoro o per trovare una occupazione. Noi ci troviamo quindi a lavorare per tentare di ristrutturare questi pensieri, perché si arrivi alla conclusione che non è così, che si può avere una relazione affettiva anche se si è in sovrappeso, che ci si può sposare e avere successo nel lavoro; così come tutto questo può non accadere, anche se si è magri.
Qui ci scontriamo con una pressione culturale e ambientale che oggi è ossessiva.
Sì, ne sono consapevole. Anche per chi come me lavora specificamente sul linguaggio e individua in questa ossessione il principale ostacolo al benessere, alla fine ci si trova sempre a parlare di dimagrimento. Il che è deprimente, considerando appunto quello che dicevamo su salute e ricerca scientifica.
Iarrera: L'idea che si fanno i pazienti è che devono perdere peso, che quello per loro è l'unico sistema per star bene. Si innescano comportamenti deleteri, come il controllo ossessivo di alcune parti del corpo, ad esempio i fianchi. E si crea un circolo vizioso che finisce con evitare le attività. E quindi non vado al mare perché sono sovrappeso, innestando ulteriori negatività.
Come si può superare?
Iarrera: In verità l'insoddisfazione corporea si può affrontare con esercizi comportamentali. Ad esempio forzandosi ad aandare comunque al mare e scoprire quello che in realtà si sente. Gli esercizi condotti a dovere migliorando la soddisfazione, la percezione di sé. Ma quando il costrutto psicologico è legato anche alla giovane età i condizionamenti sono troppo forti per lavorare su questo fronte.