lunedì 19 aprile 2010

La bimba che voleva essere normale


"Ciao, il mio nome è Lesley, ho 9 anni e sono sovrappeso".

Inizia così l'emozionante racconto di una vita pubblicato da Fatshionista, un'infanzia condizionata dall'apprendere che non si è normoforma, un'adolescenza passata a combattere col peso e a subire in modo sempre più diretto l'esclusione dalle attività più comuni dei propri coetanei, fino a vivere lo sport, che pure non si è mai trascurato, come l'unico modo per tentare di rientrare nella normalità nonostante tutto, l'appetito, la costituzione, congiuri in direzione contraria.

"Crescendo - continua Lesley - ho iniziato a capire cosa significasse essere grassi (...) I bambini grassi erano lenti nello sport, e chi tentava di giocare comunque veniva preso in giro. I cicciotti erano sempre gli ultimi a venire scelti e, se anche non capitava a me, iniziai a temere che potesse accadere. E quando questo è accaduto, una volta dopo l'altra, ho smesso di giocare. Un modo per sopravvivere, per evitare le derisioni e gli insulti dei quali solo pochi ragazzini grassi riescono a ridere".

E quindi dieta. Dieta fin dalle elementari. Dieta per perdere peso ad ogni costo nonostante un appetito che divora le intenzioni più nobili e, nonostante questo, resistere e continuare nelle privazioni, o nel seguire il consiglio di questo o quel dietologo. Imparare che ci sono "cibi cattivi" e "cibi buoni".

"Fare esercizio divenne un imperativo. Camminavo a lungo senza méta nel mio vicinato con la musica nelle cuffiette, soddisfatta solo se riuscivo a mantenere una velocità consistente. Ma non riuscivo comunque a sottrarmi allo stigma della ragazza cicciona. Non importava quanto ci provassi. Se ci provi nessuno te ne dà merito. Devi riuscire nell'obiettivo, se non ce la fai ti dicono che non ci hai provato abbastanza, che non hai abbastanza forza di volontà".

"Credo di poter dire di aver lavorato duramente, quanto potevo, senza riuscire però ad arrivare al mio sogno di magrezza, l'unico che avessi. Ed evitiamo di parlare di una giovane adolescente il cui sogno non era diventare una astronauta o il presidente, ma era quello di dimagrire". Poi gli anni della giovinezza, passati nei dialoghi con il medico, alla ricerca di soluzioni farmacologiche. Ricerche inutili.

"La via che ho scelto alla fine è stata l'auto-accettazione, e apprezzare il mio corpo indipendentemente da come poteva cambiare o meno il modo in cui appariva. Ho scelto di avere cura di me stessa. Ci è voluto tempo, non è successo in una settimana e neppure in un anno. Ma col tempo sono giunta a capire che non era la ciccia che mi aveva fatto odiare lo sport, a farlo era stato quello che la gente pensa di una cicciona. Non era il mio essere grassa che mi rendeva inferiore o isolata, era l'ideologia culturale secondo cui i grassi sono gente solitaria, miserabile, perlopiù spiacevole".

La conclusione di Lesley è di una lucidità che apre ulteriori riflessioni:

"Nulla di quanto mi è accaduto come giovane, nessuno dei cambiamenti che ho incontrato sulla mia strada, nulla di quell'odio per me stessa che mi ha nutrito, di quegli insulti che ho tollerato, nulla di tutto questo sarebbe successo se fossi stata grassa in un mondo vuoto. Nulla di tutto questo è accaduto solo come conseguenza del mio essere grassa. E' accaduto a causa della cultura nella quale vivevo, che tutti più o meno condividiamo. E' accaduto perché io per prima avevo ricevuto, elaborato, assimilato e interiorizzato i messaggi negativi su quello che gli obesi possono o non possono fare, e ciò che gli obesi possono o non possono essere".

4 commenti:

  1. Ho letto anche la versione inglese e credo che abbia ragione a prendersela con l'iniziativa di Michelle Obama, che poi succedono anche da noi queste cose!! Bisogna stare attenti ai bambini più attenti di ora di sicuro!!

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  2. Vale la pena leggere tutto il post anche se non si conosce l'inglese: credo che certi passaggi siano universali. E le conclusioni condivisibili.

    Ti scarico qui la mia traduzione, sorvolando su eventuali imprecisioni... :)

    http://foxyurl.com/RAZ

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  3. Sai cosa mi ha fatto pensare, soprattutto? Che quando metà, o anche solo un terzo della popolazione di un Paese, si sente discriminato e in qualche modo ostacolato, o si sente etichettato a prescindere, non ci si può più nascondere dietro al dito della responsabilità individuale. Anche la società ha le sue belle responsabilità nel creare obesi che non si iscriveranno mai a nuoto. O omosessuali che preferiscono l'involuzione ad omofobi violenti, per dire.

    Nel post di Leslie si respira una rassegnazione al suo peso - per quanto serena e dolce - che è figlia della nostra società quanto l'ossessione per il fitness.

    Ma la penso così anche per colpa di un mio certo viziatissimo ideale di società - dove invece di cercare e creare capri espiatori e nuove vittime (i deboli, i diversi, gli obesi, i lavavetri, gli immigrati) giudica se stessa e cambia in cerca di un perduto bene comune, non affidandosi al buonsenso del singolo (ancora più fantomatico!)

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  4. Come sempre d'accordo con te Layla, semmai sottolinerei a questo proposito quanto clamoroso sia il fatto che a livello di ricerca (anche istituzionale) si sorvoli completamente su questi aspetti. E' una sorta di rimosso collettivo... :-/

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