venerdì 3 febbraio 2017

Che fare? L'identità va rispettata

Mi è arrivata una lettera in questi giorni molto interessante a cui ho risposto, pubblico qui di seguito una sintesi cambiando i riferimenti per motivi di privacy ma che credo possa interessare chi dovesse capitare su questo blog.
Buonasera Sig. DeAndreis,
ho trovato il suo sito con la seguente chiave di ricerca qualcuno che affronti l’obesità in modo diverso e questo dovrebbe già farle comprendere quale è la natura del consiglio che le chiedo.
Ho un amico abbondante che ora ha esagerato e deve dimagrire, il suo respiro è divenuto affannoso per colpa del peso. Non soffre di altre patologie. E' una persona lucida consapevole ed intelligente che ha incontrato numerosi nutrizionisti in passato, gente che ha sempre considerato la sua condizione come quella di un malato, mentre per lui il cibo è un piacere. Cucina molto bene, è un vero appassionato. Ma vive in un mondo pieno di pregiudizi, secondo cui chi è grasso vive fuori dalla realtà o non ha una sua volontà, tutto il contrario del mio amico, e spesso lo considera un minus habens.
La mia domanda è: esiste un centro, un nutrizionista, che abbia un approccio che parta dal rispetto dell'umanità dei propri pazienti? A.S.
Di seguito la mia risposta:

Salve,
vorrei tanto avere un indirizzario di persone utili a chi mi scrive, e mentre spero che ci siano medici (o dintorni) in grado di dare una mano, anche io ho purtroppo ripetutamente cozzato con il mondo che ben descrivi nella tua lettera.

La storia che mi hai raccontato è quella di tanti di noi, noi uomini ciccioni, e se è difficile per gli uomini puoi immaginare cosa sia per le donne, viviamo in un mondo che va al contrario su tutti i fronti e quindi anche su questo, incapaci come siamo di amare.

Se posso, azzardo qualche consiglio che ad alcuni può essere utile. 
Anzitutto l'obesità: nessuno sa cosa sia. Esistono evidenze di una impronta genetica, relazioni con la fauna batterica personale, interruttori proteici nel nostro sistema nervoso (che spingono alle dipendenze) e poi, sì, anche un modello sociale disfunzionale che si intreccia con la ricompensa chimica del piacere alimentare. Ognuno di noi può essere portatore di uno o più di questi ed altri fattori. 

Non solo dunque non è una malattia ma è una condizione la cui complessità è la complessità della nostra identità. L'obeso è obeso fuori e dentro ed è destinato a rimanerlo fino a quando la sua identità coinciderà con la sua obesità. Stanti chimica e genetica contrarie, l'obeso che perde peso è un individuo che ad un certo punto della sua vita matura una diversa identità. Non si tratta di volontà ma di vita.

Chi fa una dieta, e dopo anni finalmente anche i media italiani iniziano ad accorgersene, entro due anni dalla perdita di peso riacquisisce tutti i chili persi e spesso ne aggiunge altri: non è un luogo comune, riguarda l'85% di chi si mette a dieta.
Le ragioni per cui ciò accade sono molteplici ma il grosso sta nell'identità e nella sua complessità. Non basta perdere chili per maturare una nuova identità.

Chi ama la persona obesa ne può vedere le difficoltà e soffrire dei suoi problemi, ma la parte più difficile è accettare una scelta identitaria che non possiamo capire, perché l'identità è una complessità che sfugge persino al suo portatore, che tocca il rapporto con se stessi, con l'intimità e la sessualità, col caldo e col freddo, con gli altri ecc. 
L'obeso può non voler essere obeso ma incarna una identità che tra le molte altre cose è anche obesa.

Che fare?
L'approccio HAES, quello più evoluto e che anni fa ho voluto raccontare su questo blog, punta a rimuovere per quanto possibile le pressioni sociali dalla psicologia formativa dell'identità, perché attribuisce una buona fetta della voracità ad una reazione sociale. Risolte le pressioni sociali ne consegue una ritrovata attività fisica e un più equilibrato rapporto col mondo e quindi anche col cibo.
Ma questa "soluzione" vale solo per alcuni individui. Ci sono persone - e forse anche il tuo amico da come ne parli - che sono fondamentalmente in pace con se stesse ma non per questo son meno voraci, che magari persino amano la ciccia ("grasso è brutto" è per fortuna un mantra non universale): nel loro caso le diete non possono funzionare e l approccio HAES è pressoché inutile.

Cosa rimane?
Rimane l'ampio spazio delle scelte individuali, che comprendono - e può non piacerci a noi che amiamo gli altri - anche scelte identitarie insalubri. Vista la temporalità dell'esistenza e la complessità di cui parlavo, elementi che riguardano tutti e non solo i ciccioni, sono scelte che dall'esterno possiamo solo rispettare. Di obesi anziani ce ne sono pochi e noi ciccioni lo sappiamo benissimo (mediamente un obeso ha una aspettativa di vita di 12-15 anni inferiore ai normopeso), che qualcuno ce lo ricordi è una sorta di ossessione contemporanea, ci è davvero difficile non giudicare il prossimo (che equivale al dire: "non posso conoscere la tua complessità ma la giudico lo stesso", un approccio da capre molto diffuso).

A volte noi cicci dimagriamo in modo traumatico dinanzi ad una qualche patologia che ci costringe a semplificare quella complessità ma di rado usciamo felici risolti o sani da quella trasformazione, a volte rischiamo persino di perderci per lo scollamento tra nuovo stato fisico e identità. Prova a parlare con supercicci che hanno perso peso con la chirurgia (quelli che non ci muoiono, almeno), scoprirai che si tratta spesso di individui che non sanno più bene cosa sono ed è quello che accadrebbe se esistesse un pillolone capace di trasformare tutti in normopeso. La parte più evidente dell'obesità, la forma fisica, non è detto che sia quella più significativa.

Come persona che tiene ad un individuo ciccione (che non è una parolaccia né un insulto se viene dal cuore) so anch'io quanto è facile struggersi, eppure c'è pochissimo che si possa fare dall'esterno.
Non esiste la soluzione all'obesità per il semplice fatto che non è una malattia ma una condizione, come nascere coi capelli biondi o rossi. L'individuo ha la possibilità di contrastare le difficoltà con l'esercizio fisico (io mi son trasferito in campagna anche per quello, per dire), di approvvigionarsi di cibo più sano, di cercare altri piaceri per diluire il focus sul cibo. Dall'esterno potremmo auspicare questa scelta, potremmo persino desiderarla, ma in fin dei conti non possiamo farla nostra perché è sua.

Il pillolone non esiste
Insomma A.S. vorrei avere un pillolone per aiutare il tuo amico - questo blog è nato dalla tenerezza e amore profondo che provo per noi incompresi ciccioni - ma, anche esistesse, nella stragrande maggioranza dei casi non sarebbe utile o potrebbe rivelarsi deleterio.
Se vorrà può tentare, comunque, l'approccio nutrizionistico corredato da supporto psicologico: queste due cose insieme sono sempre più spesso uno standard nei centri obesità. Se chiedi alla Asl del tuo amico sicuramente ti sapranno indicare il "centro obesità" di riferimento. Possiamo solo sperare, se il tuo amico ci andrà, che questo approccio più ampio e complesso non si risolva nell'ennesima delusione.

Qualche piccolo aiuto, infine, può arrivare dalla psicoterapia comportamentale che spesso riesce a dare all'obeso il controllo contro le abbuffate (magari non fa dimagrire ma chi soffre di attacchi di fame insanabili può riuscire ad evitarli). Ci sono psicologi comportamentali molto bravi, col vantaggio che spesso sono terapie che richiedono poche sedute.

Un caro saluto,

Paolo

chiunque volesse scrivermi può sempre farlo a questo indirizzo, sono sempre felice di rispondere per quel poco che posso offrire.

4 commenti:

  1. l'obesità non è una malattia ma è un fattore di rischio per alcune patologie. Dimagrire in maniera sana è possibile

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  2. l'obesità è causata da un mix di fattori genetici e ambientali e di stile di vita

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  3. ciao paolo grazie per i tuoi commenti.
    anch'io non dubito che si possa dimagrire. il punto è capire cosa accade dopo.
    un saluto

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