venerdì 7 febbraio 2014

In TV vince il reality del dimagrimento anti-cicci

E' l'apice della comunicazione dell'odio, il massimo esempio di propagazione della discriminazione dei media. Tutto per il denaro, e a mare la salute e il benessere sociale



Prendi qualche megaciccio o megaciccia, sbattili in televisione in un format "reality tv", amplifica il disagio di una condizione personale, mescola il tutto, mettici una sigla, un personal trainer tartarugato e via, ecco che ottieni un programma di successo. Che poi la trasmissione contribuisca al disastro sociale sulla diffidenza e l'odio verso cicci e cicce è un problema che si pone solo chi si occupa di emarginazione.

Proprio in questi giorni il movimento per l'eguaglianza ponderale negli Stati Uniti è in grande agitazione. Il reality del dietismo esasperato che là va per la maggiore, The Biggest Loser, ha assegnato il premio di 250mila dollari ad una ex ciccia (vedi foto) che ha perso così tanti chili da far temere un disturbo anoressico in corso. In effetti, l'intera trasmissione si basa sullo sviluppo di un disturbo alimentare di qualche genere, e sulla narrazione commerciale che se ne può fare, a suon di discipline da campo di concentramento, intransigenti allenatori e diete assassine. In sostanza, dunque, l'esatto contrario di quanto la persona con quei disturbi potrebbe tentare di fare per uscirne. Ma le vittime sacrificali non lo sanno, e poi 250mila dollari fanno comodo.

Proprio come "The Biggest Loser", anche qui da noi vanno per la maggiore "reality show" che con la realtà non hanno niente a che fare. Come osservava Matilde Lanzetti tempo fa, si tratta di show-bufala, nel senso che la soluzione improvvisata all'obesità individuata in queste trasmissioni viene spacciata come la via che dovrebbero seguire tutti, che tutti i cicci potrebbero seguire. Diete drammatiche, dimagrimenti feroci. A quel pubblico si fa credere che "basta la forza di volontà". Ergo, i cicci che non dimagriscono così sono i soliti pigri e senza nerbo, gente che si merita l'emarginazione che gli viene - infatti - riservata. Figurarsi quelli che neppure ci provano a dimagrire.

Chiunque sappia qualcosa di obesità, ma anche soltanto abbia seguito per un po' questo blog, non avrà difficoltà a rendersi conto della portata di rancore e odio di un messaggio del genere. Per vaccinare i telespettatori bisognerebbe far loro vedere, a qualche anno di distanza, lontano dai riflettori, a che punto sono le "star" di quelle trasmissioni. Se le statistiche hanno un senso, entro i cinque anni il 95 per cento di loro avrà ripreso il proprio peso con gli interessi. Ma no, in TV quegli "ex" cicci non li rivedremo più.

Chi "vince" queste trasmissioni viene applaudito come un eroe, sebbene l'unico vincitore sia il produttore del format tv, visto che quell'eroe, attirato dai riflettori televisivi e dalla propaganda del dietismo come la fine dei propri problemi, semmai si predispone a riprendere in pochi anni tutti i chili perduti, con gli interessi.

Come se non bastasse, ad accelerare sul fronte della discriminazione anticicci e allo scopo di solleticare parte del pubblico della trasmissione, accanto ai supercicci ecco comparire anche personal trainer che non hanno nulla degli allenatori della palestra sotto casa. Parliamo di bodybuilder professionisti di calibro internazionale che girano attorno ai cicci e alle cicce mostrando sorrisi e tartaruga ipermuscolata, "stimolandoli" a dimagrire, costi quel che costi. L'assoluto contrasto tra le forme del corpo del trainer e del dimagrando è un altro ingrediente essenziale del messaggio di odio: per star bene ed essere belli bisogna avere quella forma là, magra e muscolosa, e quindi il ciccio non solo è obeso e brutto, ma sta male e sarà malato finché non cambierà la propria forma.

Fuffa, insomma, bufale d'odio spacciate un tanto al chilo, fatte per attirare un pubblico disinformato e continuare a vendere la narrazione del dietismo, ormai totalmente seppellita dalla ricerca più recente e che addirittura sta finendo sotto inchiesta per i danni che ha causato. Ci sarebbe da chiedersi se la produzione di certe trasmissioni non dovrebbe essere chiamata a rispondere per le conseguenze sociali della discriminazione indotta dai propri programmi.
(fonte foto)

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