venerdì 7 marzo 2014

Accettarsi come obesi significa giustificare l'obesità?

Ma davvero qualcuno qui crede di avere il diritto di chiedere ad un altro umano di giustificare la propria esistenza? Sì. Qualcuno la pensa proprio così



Quante volte lo avete sentito?
Quando mi capita di parlare con qualcuno di cicciosità e dintorni, è questa la prima obiezione che mi viene fatta non appena l'interlocutore si rende conto che non solo sono un ciccione ma che non mi sento in colpa per questo. Mi viene detto che "accettarsi come obesi significa in realtà giustificare l'essere obesi". O peggio ancora, apriti cielo, l'obesità. Obiezione spesso condita da battutine, sorrisetti, incitamenti ("dai su ammettilo" ecc.).

Io non ho sinceramente idea di cosa possa spingere qualcuno a ritenere che io debba giustificare a lui o lei la mia attuale condizione di esistenza. Non so quale perversione egoica abbia preso possesso di chi fa un'asserzione del genere. Ma scherziamo? Giustificarmi? Dovrei sentirmi colpevole per quello che sono? E questo dovrebbe aiutare chi? Chiunque dica una cosa del genere a qualcun altro temo che soffra di un ego smisurato e quindi di una sostanziale insoddisfazione esistenziale. Per questo, penso subito dopo, devo essere tollerante.

Se voglio dialogare, infatti, sono obbligato a spiegare anche a chi ha urgenza di sostegno psichiatrico. Per esempio, che avvicinarsi ad HAES, ossia ad una modalità gioiosa e salutare di vivere, è una scelta molto personale e molto consapevole. Significa, nel mio caso, scrollarsi di dosso decenni di stigmatizzazione, di colpevolizzazione. Spiego che smettere di sentirsi in colpa per ciò che si è significa accettarsi. E accettarsi porta ad amare se stessi per quello che si è. Tutte cose che chi legge questo blog già ben conosce, ma è davvero sorprendente quanto spesso lo debba evidenziare.

Se devo essere sincero mi capita anche di non farlo. Di non mettermi lì a raccontare i dettagli, a costruire ponti tra il pregiudizio e la realtà sperando così di cambiare sia il primo che la seconda. Soprattutto se il mio interlocutore è su Internet e non lo conosco granché, magari neppure direttamente. In quel caso mi sembra così difficile superare con una mail o un tweet il condizionamento di cui lui/lei soffre che finisco per lasciar perdere, magari mi limito a mandare un link, o lasciare un tag (#HAES, evidentemente), una sorta di "amo" per la sua intelligenza. Sarà poi lui/lei a decidere che farne.

In generale, però, mi rendo conto parlandone ora che lo scopo di questo blog, di tutto questo grosso lavoro di indagine che sto conducendo dal 2008, è uno solo. Ricordare a noi stessi che ciascuno di noi è - per dirla con Silvano Agosti - un grande ed unico capolavoro. Ognuno di noi merita rispetto e amore. Ognuno merita di vivere fino in fondo la propria vita a proprio modo. Lo stereotipo che diventa discriminazione, l'odio che sfocia nella violenza, tutto tende a condizionare i cicci, uomini e donne, a far sentire loro che il proprio corpo è sbagliato. Che sono cresciuti sbagliati. Che sono sbagliati. Ecco, se c'è una cosa che vorrei tanto che questo blog riuscisse a distribuire a chiare lettere tra i suoi lettori è una grande fiducia in se stessi. Siamo esseri unici. Rivendichiamolo. E ricordiamolo sempre, prima di tutti a noi stessi.

(fonte foto)

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