martedì 18 maggio 2010

Fat Studies, ecco di cosa si parla

Il tenutario di questo blog non ha potuto ahilui partecipare all'importante conferenza "PCA/ACA Fat Studies", un incontro internazionale che si è tenuto negli Stati Uniti, voluto per fare il punto sulle riflessioni e le ricerche sulla dimensionalità, la libertà di forma, la size acceptance. Ci dobbiamo quindi accontentare di una sintesi di quanto si è detto pubblicata dal sempre ottimo Big Fat Blog. Interessante soprattutto per capire a che punto siamo, e quanta strada qui da noi, in Italia, abbiamo ancora da fare.

Heather Brown, della Northern Illinois University, ha tentato di paragonare i risultati accademici dagli anni '60 ad oggi tra gli studenti di diversa dimensionalità. E ha finito per rivelare quanto i docenti influenzino questi risultati: finiscono per premiare gli alunni obesi che dimagriscono o fanno attività sportiva prima ancora che valutandone i risultati accademici.

Tali Schaefer, della Columbia University Law School, ha parlato di un tema pressante e terribile, quello dell'allontanamento dei bambini dai genitori a causa dell'obesità, motivo per il quale i genitori vengono considerati inadatti a crescere i propri figli. Casi che si ripetono negli States e che vengono giustificati in tribunale dal fatto che se il figlio è obeso la colpa è dei genitori. Prevale cioè la percezione dell'obesità come futuro rischio sulla centralità essenziale della famiglia o sulla conoscenza stessa delle ragioni dietro l'obesità. Nessuno studio invece su cosa succede ai figli strappati alle famiglie. Magari dimagriscono.

Di grande interesse anche la relazione della studiosa finlandese Hannele Harjunen, dell'Università di Jyväskylä, che si è concentrata sulla "creazione di un minoranza disagiata" basata sulla coltivazione di una "malattia simbolica", concentrandosi sulla normalizzazione, la stigmatizzazione e gli aspetti clinici dell'obesità. Questa viene concepita da Hannele come "un fenomeno e una esperienza dalle molte facce, di genere, con un impatto sociale". Parole che vengono dalla sua tesi accademica sull'"Obesità come metafora", dove l'obesità "è utilizzata come una metafora per sollevare preoccupazioni individuali e macrosociali". E la "forma del corpo è sempre più utilizzata come linea di demarcazione tra la normalità e l'anormalità tra loro e noi".

Tra i relatori ha parlato anche Ayelet Kalter, dietologa israeliana che gestisce un sito reso controverso dal fatto che, come dietologa, ha pienamente abbracciato i principi della size acceptance. E ha parlato di come anche i più scettici dopo essersi sottoposti ai suoi programmi finiscono per comprendere l'importanza dell'accettazione di sé (e degli altri).

Per chudere, ai maschietti cicciotti messi in croce da discutibili studi e impietose analisi potrebbe far piacere invece l'intervento di Kate Mason, dell'Università di Berkeley in California, che ha indagato sul rapporto degli uomini con il proprio corpo, scoprendo come per la maggiorparte dei ciccioni si tratti di una relazione "mascolina" mentre non viene percepita come mascolina quella adottata dai culturisti ("troppa attenzione al corpo"). Ma se gli uomini temono di non apparire mascolini, a se stessi prima ancora che socialmente, beneficiano dei dubbi e dei problemi assai più numerosi che per i propri corpi tendono a nutrire le donne. Una realtà vagamente inquietante: "spesso gli uomini hanno costruito la relazione con il proprio corpo rigettando l'idea della donna cicciona e infelice preoccupata con il proprio corpo". E' inquietante, evidentemente, il fatto che anche l'uomo obeso possa cadere così facilmente nello stereotipo più becero a carico delle donne.

1 commento:

  1. Ayelet Kalter è la dietologa che ho sempre sognato e ahimè mai avuto ;) - e che figata di sito, anche se non capisco un'acca

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