sabato 16 novembre 2013

Sei grasso? Sei depresso e ti vuoi male

Ti fai ribrezzo e rifiuti il tuo corpo, ti arrabbi con te stesso, ti deprimi e non puoi sfuggire: se sei grasso la tua vita ti fa schifo. Questo e nientemeno è il profilo psicologico dell'obeso propagandato questa volta, l'ennesima volta, da un luminare canadese a cui, ahinoi, ha dato spazio l'HuffingtonPost, trasformando quindi i deliri di quel medico, come già altri prima di lui, in propellente per i più malevoli luoghi comuni che segnano la vita di cicci e cicce.

Dottore in "obesity management", Arya Sharma non ha una grande opinione degli obesi che, a suo dire, nella loro vita attraversano qualcosa che assomiglia molto alle "cinque fasi del dolore", comprensive del momento in cui si rifiuta ciò che si è, in cui ci si arrabbia con se stessi e si cade in depressione. Oppure si accetta la situazione e si chiede aiuto. Questo, evidentemente, solo nel migliore dei casi. "La ricerca - sostiene Sharma - dimostra che spesso queste varie emozioni si vivono in parallelo o a volte in ordine sparso, ed è naturale. Alcuni possono anche non superare mai le fasi della negazione e della rabbia".

Gli obesi già ne sopportano di tutti i colori, ma anche sentirsi dire che in quanto cicci sono anche persone che si odiano, sono depressi e rifiutano ciò che sono mi sembra troppo. Anzi. Sharma alimenta molti dei peggiori luoghi comuni intorno ai ciccioni comparando la vita di coloro che si rivolgono a lui a quella degli obesi in generale. Quante sono le persone felici di essere quello che sono e che sono anche obese? E se una persona obesa è depressa, per dirne una, quanto giocheranno in questa depressione gli insulti e l'emarginazione che deve affrontare giorno per giorno in una società discriminatoria?

Direi di più. Come può permettersi uno come Sharma ad equiparare all'essere obesi le cinque fasi del dolore che sono quasi sempre percorse in momenti tragici come la perdita di qualcuno che ci è caro o la diagnosi di una patologia incurabile? Nel primo caso parliamo di uno stato dell'esistenza, di una caratteristica identitaria, nel secondo parliamo del dramma di un cambiamento improvviso e devastante.

Quel che dice Sharma, dunque, è destituito di fondamento. Ma perché uno come lui, presidente di associazioni mediche in Canada e coordinatore di studi sull'obesità, si permette di sparare a zero su cicci e cicce in quanto cicci e cicce? La risposta credo vada cercata nella demonizzazione dell'obesità che un approccio superficiale alla salute coniuga con triste ferocia ai media. In questo modo si trasforma una questione intima come la forma del proprio corpo e la propria identità in un discrimine tra chi ha diritto alla felicità e chi non ce l'ha.

In un recente post su Bustle, Marie Southard Ospina stigmatizza Sharma per le sue offensive generalizzazioni, come quella secondo cui chi è obeso lo è perché "non fa esercizio fisico" o che chi è obeso ha solo due opzioni: "perdere peso ed essere felice o rimanere grasso e vivere una vita di miseria, al buio e da soli". "Se sentiamo le cose che dice - osserva Marie - parrebbe proprio che questo uomo non abbia mai incontrato una persona grassa". Ma è veramente triste pensare che "qualcuno potrebbe passare la propria intera vita ritenendo che quanto pesi possa non solo dirti quanto tu sia in salute ma anche se e quanto tu sia felice".

La cosa ancora più triste, forse, è dover star qui a commentare le parole di un medico, una figura che si occupa di persone malate e dalla quale i suoi pazienti avrebbero diritto ad attendersi un aiuto, non un pregiudizio.

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