sabato 5 settembre 2009

Tutti gli obesi sono uguali, ma le donne sono più uguali degli altri

E' uno dei grandi paradossi della discriminazione sociale ai danni degli obesi. E' la maggiore discriminazione subita dalle donne obese, talvolta messe all'angolo e allontanate persino da uomini altrettanto obesi. L'ultima notizia in questo senso, se così si può chiamare, è una stringatissima nota dal Bahrein (fonte: Apcom), dove parrebbe essere l'obesità delle donne uno dei più comuni motivi di divorzio, in un paese dove pure tutt'altro che trascurabile è l'obesità maschile.

La verità è che persino chi vive la discriminazione tutta una vita spesso fatica a vederne l'ingiustizia, la follia, fatica persino a vedere come proprio nell'emarginazione e nella discriminazione risieda almeno in parte l'origine di quella che una persona del genere vive come una malattia, ossia il proprio peso, la propria forma. Il senso di disgusto per gli obesi, e ancor più per le donne obese, tende a radicarsi non solo negli umani di formato standard ma anche negli obesi stessi. Se servisse, è questa la maggiore delle evidenze dei danni sociali causati dalla sistematica marginalizzazione dell'obeso e della sua individualità.

Anche per questo è faticoso il lavoro di chi si batte contro la discriminazione: così come molte donne hanno dovuto imparare negli ultimi 40 anni a rivendicare i propri diritti schiacciati dalla prevaricazione politica e sociale degli uomini, e alcune ancora stentano a farlo, oggi ci troviamo con una stragrande maggioranza di obesi abituati ad essere emarginati, così tanto da ritenerla una condizione ovvia, persino inevitabile. E' per loro difficile parlare di pari diritti perché il solo fatto di non accusare l'obesità di ogni male viene vista come una cessione delle armi dinanzi alla loro battaglia contro i propri disturbi dell'alimentazione. Una guerra così intima e totalizzante da non ammettere distrazioni, nemmeno se costituite dalla lotta contro ciò che più gli e le fa soffrire, ossia l'emarginazione (sociale, professionale, sessuale).



Da tutto questo emerge chiarissimo il dramma che vive oggi l'obeso, e ancor più l'obesa, un dramma tanto profondo e che ha origini spesso già nell'infanzia da impedire una più alta riflessione su temi come accettazione, diversità e pari diritti.

Riscoprire queste consapevolezze, e niente di meno, dev'essere il compito di chi davvero tiene ad una società più giusta ed equa, dalle pari possibilità, in cui ogni individuo abbia il diritto, e soprattutto la possibilità, di perseguire la felicità.

(fonti immagini qui e qui).

4 commenti:

  1. Le parole di Loredana Lipperini di questa settimana si abbinano bene al tuo post.

    Se noi donne tendiamo a subire di più "il peso del peso" (come di qualsiasi altra minima imperfezione fisica) è perché molto prima di diventare obese possiamo essere schiacciate dalla mancanza di immaginazione.

    Tirerei fuori dal cassetto anche le parole di Proust: “Lasciamo le belle donne agli uomini senza fantasia o immaginazione” in special modo se "bella donna" significa "fotocopia".
    (cito, stravolgendo forse il vero significato del suo aforisma, uno splendido artista omosessuale non a caso... visto che oggi i giudici e demiurghi della bellezza femminile sono in maggioranza stilisti gay ;))


    Agosto, sulla fine. Discuto con un’amica avvocata che sostiene la stessa tesi. Il corpo mi appartiene e posso usarlo per fare la escort, o per ottenere un programma in Tv. Giuridicamente, è così, mi dice. E io le rispondo che allora mi appartiene sempre, quel corpo: anche quando è gravido, o morente. O cenere.

    C’è una reazione molto semplice quanto efficace che si può tentare: mostrare il paginone del Domenicale di Repubblica di qualche settimana fa, dove venivano ritratte tutte le Miss Italia dalla nascita del concorso. Le ultime sei sono indistinguibili. E a subito dopo bisognerebbe chiedere: questo significa rivendicare la bellezza? Essere identiche a qualcun altro? Appartenersi è un esercizio di cesello per adeguarsi a un modello dato? Appartenersi significa dover sottostare a un gioco di cui non si sono fornite le regole e non si sono nemmeno lette quelle date da qualcun altro? Appartenersi è difendere la desiderabilità formato Mediaset a tutti i costi, per parlar chiaro?

    Abbiamo parlato di scelta, certo: ma soprattutto di consapevolezza della scelta. C’è, questa consapevolezza? Nel famigerato immaginario, esistono i modelli che permettono di acquisirla? Se in televisione vediamo soltanto o fanciulle identiche e assai nude o la nobile vecchiaia intellettuale e scarmigliata di Margherita Hack, manca qualcosa: mancano le tantissime donne normali che vogliono davvero tutto: l’armonia del corpo e della mente, la valutazione che passa per le proprie capacità e non (solo) per il proprio aspetto.

    Per questo, credo che sia importante cominciare da qui: dai luoghi dell’immaginario. Dalla televisione (perché chi inquadra la Silvestedt basso-alto e alto-basso nella Ruota della fortuna è una donna e lo fa lo stesso?). Dai giornali. Dai libri. Perché il nodo è qui: l’immaginario. Molti e molti anni fa, con la nascita di Drive in, altri hanno creato quello che ora ci sta schiacciando.

    Loredana Lipperini,
    link: http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/lipperatura/2009/09/04/facciamolo/


    P.S.
    A proposito di bellezza, potrei adorare gli uomini e le donne che si intravedono nell'immagine in trasparenza della colonna a fianco! Piccola, ma potente! :-)

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  2. Grazie Layla
    come non essere d'accordo, sono verità che chi ha a cuore il valore ponderale delle diversità ;) non può che far proprie.
    Spero che le leggano in molti!

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  3. Scusate, ma.. l'obesità E' una malattia.
    Questo non autorizza alcuna forma di discriminazione, ma non autorizza nemmeno a valorizzare o dare credito o riconoscere uno statuto di autonomia a una malattia...

    Chi vi scrive è un obeso, quindi credo di avere diritto di parola sulla questione.

    Un conto è contrastare la società che fa di un'altra malattia (l'anoressia) lo standard fisico di bellezza, riconoscendo che qualche chilo in più, la pancetta, sono umanamente bellissimi e sessualmente desiderabili, ma un sovrappeso che superi i 30 chili del proprio peso ideale è un problema che mette a repentaglio la salute e non può essere in nessun caso accettato come uno stile di vita.

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  4. Ciao Alessandro
    mentre concordo naturalmente sul problema discriminazione, non si parla d'altro acca' ;), non sono d'accordo sull'identificazione che fai tra malattia (obesità) e malato (obeso).

    Un conto è una persona che si prende cura delle proprie malattie, un fatto che riguarda esclusivamente quella persona, un conto è lo stigma sociale contro un malato (stigma che, peraltro, ne sto scrivendo proprio ora per un nuovo post sull'argomento, non fa che peggiorare la condizione).

    Dal mio punto di vista l'unico che può, o non può, accettare il proprio stato di malato o di vita è l'obeso. Sempre che non si voglia, come parrebbe a leggere certi giornali o reportage tv, abolire il libero arbitrio.

    Un caro abbraccio
    Paolo

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